Lo scorso 28 aprile, in occasione della giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, si è svolta ad Arezzo una veglia di preghiera organizzata dalla Pastorale vocazionale in collaborazione con il Centro di Pastorale giovanile, dal titolo Per chi sono io. Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Christus vivit aveva definito la Chiesa un meraviglioso poliedro, sottolineando con tale espressione la sua natura versatile e multiforme: «Essa – scriveva il Pontefice – può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie» (Christus vivit, 206-207). Proprio questo è stato lo spunto di una serata che, oltre ad essere un’implorazione a Dio perché faccia sorgere, custodisca e accompagni tante nuove vocazioni, ha voluto ricordare ai tanti giovani accorsi che la Chiesa è madre in grado di abbracciare l’irripetibile unicità di ognuno. Non a caso, ai piedi dell’altare di San Domenico campeggiavano quattro poliedri, le cui linee irregolari, convergenti verso un unico punto di fuga, ricordavano a tutti che ogni cammino vocazionale, nella sua diversità e unicità, tende ultimamente all’unica medesima meta. La serata si è svolta in due momenti. Il primo ha avuto inizio alle 19.00: i circa centocinquanta ragazzi accorsi da varie zone della nostra Diocesi, suddivisi in tre gruppi (Seminario, Pieve vecchia, San Michele), hanno potuto ascoltare alcune testimonianze di vocazione: un sacerdote o seminarista, un consacrato/a, una coppia di sposi o fidanzati, un single. Successivamente tutti si sono spostati in San Domenico, dove ha avuto luogo il secondo momento, la veglia di preghiera vera e propria, presieduta da Sua Eccellenza Monsignor Andrea Migliavacca e aperta a tutta la cittadinanza. Di fronte a una chiesa piena si sono alternati momenti di riflessione, la lettura del Vangelo di Luca (l’’eposodio dei discepoli di Emmaus), e i canti di lode davanti al Santissimo, esposto per la pubblica adorazione.
Dalle testimonianze udite, dalle domande dei ragazzi, dalle facce contente o pensose di alcuni di loro durante la preghiera, non posso che trarre questa conclusione: oggi, come duemila anni fa, Cristo continua a colpire nel segno. Usiamo spesso espressioni come “attrarre i giovani, costruire una Chiesa giovane” o altre similari; ma in fondo, oggi, come duemila anni fa, ci pensa Lui a chiamare i giovani a Sé; è Lui che attraverso le vite cambiate di coloro che Lo seguono, può avvincere e colpire il cuore dei giovani (e non solo!), suscitare in loro le domande giuste, provocare ferite e crisi salutari. È dall’incontro personale con Lui che possono fiorire le diverse vocazioni, anche in un contesto storico come quello che stiamo vivendo, particolarmente complicato. Quello che imparo dalla veglia, in fondo, è che di fronte a questi ragazzi, oggi, come duemila anni fa, il compito a cui siamo chiamati si sintetizza in due parole: testimoniare e pregare.
Giacomo Foni, seminarista